Tutti gli studi condotti sul Covid-19 negli ultimi due anni hanno avuto come oggetto il SARS-CoV-2 e i suoi effetti sulla salute umana, ignorando colpevolmente fattori ambientali che potrebbero invece aver avuto un impatto decisivo. Nel considerare la triade epidemiologica (agente-ospite-ambiente) applicabile a tutte le malattie, è stata trascurata la radiazione a radiofrequenza ambientale dai sistemi di comunicazione wireless, comprese le microonde e le onde millimetriche.
Il virus che ha causato la recente pandemia è emerso a Wuhan, in Cina, poco dopo l’implementazione delle radiazioni per comunicazioni wireless di quinta generazione in tutta la città e si è diffuso rapidamente a livello globale, inizialmente dimostrando una correlazione statistica di maggior attecchimento in comunità internazionali con reti 5G di recente costituzione.
In un studio pubblicato da Robert Brown e Beverly Rubik sul Journal of Clinical and Translational Research sono state presentate prove che i flussi wireless possono:
- causare cambiamenti morfologici che possono contribuire all’ipercoagulazione
- alterare la microcircolazione e ridurre i livelli di eritrociti ed emoglobina inducendo ipossia
- amplificare la disfunzione del sistema immunitario, inclusa l’immunosoppressione, l’autoimmunità e l’iper-infiammazione
- aumentare lo stress ossidativo cellulare e la produzione di radicali liberi con conseguente danno vascolare e agli organi
- peggiorare le aritmie cardiache e i disturbi cardiaci.
Le radiazioni wireless sono diventate un fattore ambientale di stress onnipresente nella vita di ciascuno. Un fattore che può aver contribuito a esiti avversi per la salute dei pazienti infetti da SARS-CoV-2 e aumentato la gravità della pandemia di COVID-19. Il progresso, però, non va ostacolato. Costi quel che costi.