Nell’ultimo intervento su questo spazio ho sottolineato come la crisi scaturita dal rincaro energetico stesse fiaccando ulteriormente il sistema sanitario nazionale dinanzi allo sguardo assente di uno Stato “distratto”. L’episodio di attualità a cui alludevo è naturalmente quello relativo allo scorso 16 marzo, giorno in cui la Camera dei Deputati ha approvato con 391 voti favorevoli un risvolto del “Decreto Ucraina” che impegna il governo ad un incremento di spese militari per una cifra corrispondente al 2% del Prodotto lnterno Lordo.
Di quanto parliamo esattamente?
Secondo le cifre fornite dal Ministro della Difesa Lorenzo Guerini il passaggio dalla vecchia alla nuova regolamentazione prevedrebbe un passaggio da circa 25 miliardi di spesa l’anno (68 milioni al giorno) a 38 miliardi l’anno (104 milioni al giorno).
Ma non è il solo aspetto che è stato preso in considerazione nella stessa seduta. L’onorevole Gagliardi ha stilato un piano, approvato, che attesterebbe l’incremento della spesa annuale complessiva del settore difesa in misura non inferiore al 3,5 per cento del totale del bilancio finale dello Stato. Parliamo di un ulteriore esborso previsto di circa 26,5 miliardi di euro annui. Il tutto in un paese di ataviche carenze che, sia chiaro, non coinvolgono soltanto la Sanità.
Il Milex, l’Osservatorio sulle Spese Militari Italiane, evidenzia come queste decisioni siano figlie di un accordo NATO risalente al 2006, ratificato e rafforzato al termine di un congresso tra capi di Stato in Galles nel 2014. La riflessione impone di valutare però il fatto che questi accordi non sono mai stati formalmente abrogati dal Parlamento italiano e che quindi non costituiscano obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato.
La scelta attuale è quindi assolutamente arbitraria, e non può che generare perplessità.