Tra i tanti primati negativi di cui fin troppo spesso si fregia il nostro Paese, ce n’è uno correlato alla sanità su cui trovo opportuno fare in questa sede qualche riflessione. Sto parlando della fuga all’estero dei nostri medici. In Europa il 52% dei medici che annualmente lasciano il proprio paese d’origine per cercare fortuna altrove parla italiano.
Le cause sono facilmente riconducibili a stipendi bassi rispetto ai colleghi oltreconfine, condizioni di lavoro disagevoli, turni massacranti.
La prima riflessione è di carattere socio-demografico. L’Italia è una delle nazioni con la più alta età media d’Europa. Ne consegue, a rigor di logica, una maggior necessità di personale medico sanitario disponibile.
La seconda è di natura prettamente economica. Formare un medico specialista grava sulle casse dello Stato Italiano per una somma che si avvicina e talvolta supera i 250.000 €. Se consideriamo che ogni anno circa 1.500 dottori fanno le valige per accasarsi altrove, il calcolo è semplice. Circa 350 milioni di euro vengono di anno in anno omaggiati agli Stati ospitanti, con una fornitura gratuita di personale già formato.
Il tutto si inserisce nella cornice di un Paese che richiama medici in pensione, che fa registrare ospedali scoperti e regioni sull’orlo del baratro, un Paese in cui è prevista una diminutio di 16.500 specialisti nel 2025.
«Negli ultimi 3-4 anni ben 4.700 specialisti hanno lasciato l’Italia per trovare occupazione in Paesi europei che, come il nostro, hanno sbagliato la programmazione ma che oggi corrono ai ripari garantendo condizioni di lavoro migliori anche ai professionisti stranieri» queste le dichiarazioni in merito del segretario nazionale del Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana, Antonio Magi. “Uno spreco di capitale umano e professionale enorme…”
Anche e soprattutto economico, direi. Parliamo di un Italia che, ad oggi, occupa il penultimo posto nella classifica dei Paesi che garantiscono una maggior retribuzione annua agli specialisti. Peggio di noi solo la Grecia. Quello di correre ai ripari è ancora solo un timido tentativo. Siamo difatti in attesa del nuovo piano straordinario di assunzioni promesso dal programma recentemente prospettato dal ministro Speranza. Speranza, appunto, che questo scenario desolante possa presto vivere un’inversione di rotta decisiva per la rinascita di un settore che non mi stancherò mai di descrivere come tra i più disastrati del nostro panorama.