Guerra e Covid-19. Un binomio di cui, dopo i due estenuantissimi anni di pandemia appena trascorsi, avremmo fatto volentieri a meno. Un binomio che è però realtà e, come tale, va affrontato ed analizzato in ogni aspetto. Prima di tutto dalle istituzioni.
Mike Ryan, direttore del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms, ha recentemente dichiarato in un’intervista: «La realtà è che le condizioni che vediamo in Ucraina sono i peggiori ingredienti possibili per l’amplificazione e la diffusione delle malattie infettive. Non importa se è Covid, non importa se è poliomielite, non importa se è morbillo, non importa se è colera».
Centinaia di persone stivate in bunker o rifugi, in condizioni igienico sanitarie critiche, non hanno certo come priorità quella di contrastare la circolazione di batteri o virus. A questo si aggiunge il fattore relativo ai flussi migratori nei paesi limitrofi, forte vettore e amplificatore di eventuali contagi. Più di 2 milioni di persone infatti hanno lasciato l’Ucraina e l’Oms ha messo in moto la propria macchina organizzatrice per aiutare i Paesi vicini a fornire assistenza sanitaria ai rifugiati.
Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore generale dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, ha rafforzato il concetto, spiegando che «Alcune delle principali sfide per la salute in guerra sono l’ipotermia e il congelamento, le malattie respiratorie, la mancanza di cure per le malattie cardiovascolari, il cancro e i problemi di salute mentale.”
A ricordarci che comunque non c’è solo il Covid a costituire una minaccia batterica per i profughi e per i paesi ospitanti, ma è l’intero equilibrio sanitario europeo ad essere messo potenzialmente nuovamente sotto scacco.